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Cacciata perché allattava in pubblico, nell’era del porno siamo ‘urtati’ da un seno che allatta?

In televisione si possono vedere soubrette mezze nude, celebrities wannabe che limonano in diretta, donne di mezza età che fanno spogliarelli improponibili, il tutto digerito dal grande pubblico narcotizzato dallo schermo, che fa da spartiacque tra il vero e il fasullo. Ma quando un seno viene esposto per soddisfare il bisogno di un neonato ad un pubblico in carne ed ossa, che incauto posa lo sguardo, allora la reazione a quella nudità reale assume, in certi casi, dimensioni sproporzionate.

Lontano dall’essere un caso isolato, l’ultimo episodio è accaduto a Parma, dove una giovane madre è stata pregata di lasciare il luogo in cui stava allattando il figlio, il porticato dell’Università in Via d’Azeglio, perché con quel gesto avrebbe potuto “urtare la sensibilità degli studenti”. Che in effetti non frequenteranno mai siti porno, ed avrebbero potuto sentirsi effettivamente offesi da quell’osceno petto rigonfio di latte. Di vicende come questa, in Italia e all’estero, la frequenza non accenna a diminuire.

E’ interessante come a riguardo, e su molte altre tematiche legate al corpo delle donne in generale, i segnali siano contrastanti: da un lato vi è il consiglio (a volte vera pressione) di allattare, tanto e a lungo, per il bene del bambino; dall’altro la cacciata ignominiosa dai luoghi pubblici. Cosa infastidisce veramente di una madre che sfodera un seno per dar da mangiare a suo figlio?

Non può essere altro che quella tetta svelata e che non sottosta alle logiche del sesso, dell’erotismo, e nel restare pura compie una funzione naturale, nobile. Quasi a dire che un seno erotizzato sia più comprensibile, perché rientra in un contesto socio-culturale preciso, di uno che non lo è affatto. Se non succedesse con una certa regolarità, si potrebbe archiviare l’accaduto con una scrollata di spalle in direzione della zelante vigilantes, forse non più in grado di dare lei stessa il cattivo esempio; ma sfido chiunque abbia avuto figli, a non trovare in un angolo della memoria un’occhiata di disapprovazione, uno sguardo sgradevole, quando si è trovata ad allattare fuori casa.

In America ho visto spesso le madri utilizzare teli, concepiti apposta per nascondere il neonato e la deprecabile mammella dagli sguardi indiscreti. Assecondare questo tipo di body shaming sarebbe come riconoscere l’impurità di un’azione del tutto legittima e naturale.

Personalmente ritengo che quando si tratta di far uscire allo scoperto certe parti normalmente nascoste, sarei molto più ortodossa con quegli uomini che si fermano in giro a fare pipì, con tanto di sbatacchiata terapeutica e piglio da padrone della strada.

In tutto questo discutere su cosa sia appropriato o meno, c’è sempre una dose di morale a farne da padrona. Viviamo in una società libera di fare tutto, ma che in fondo libera non è.
E’ possibile che nell’epoca del porno sdoganato, del sesso accessibile ovunque, si possa restare ‘urtati’ da una tetta che allatta?

Hanno parlato della creazione di spazi appositi per le giovani mamme, luoghi dove studentesse e cittadine possono trovare la privacy per accudire i propri bambini. La proposta è di per sé paracula, mi ricorda l’antico concetto del promuovere al fine di rimuovere. In questo caso, rimuovere in una sorta di gabbia dorata, al di fuori di occhi troppo sensibili.

Si tratta né più né meno dello stesso concetto di riservare ai cani, all’interno dei parchi cittadini, specifiche aree o recinti per lasciarli liberi. Peccato che tra una donna che allatta e un cane che sgambetta, con buona pace degli animalisti più incalliti, ci sia una bella differenza.

 

Da un articolo pubblicato su “Il Fatto quotidiano” il 2/5/2018 da Erica Vecchione