Ecco i comportamenti sui social che rivelano bassa autostima, secondo la psicologia

Okay, ammettiamolo: siamo tutti un po’ dipendenti dai social. Ma c’è una bella differenza tra scrollare Instagram mentre aspetti l’autobus e controllare ossessivamente ogni trenta secondi quanti like ha ricevuto la tua ultima foto. Spoiler alert: se ti riconosci nella seconda categoria, potresti avere qualche questione irrisolta con la tua autostima. E no, non lo diciamo noi per farti sentire in colpa – lo dice la scienza.

Gli psicologi hanno iniziato a osservare con attenzione il nostro comportamento digitale, e indovina un po’? Hanno scoperto che il modo in cui usiamo Facebook, Instagram e TikTok può dire tantissimo su quanto ci sentiamo sicuri di noi stessi. Alcuni pattern comportamentali sono come dei megafoni che urlano “Ho bisogno di approvazione!” anche se nella bio hai scritto che sei “libero come il vento” con tanto di emoji della montagna.

Vediamo insieme quali sono questi comportamenti rivelatori, perché si manifestano e cosa ci dice la ricerca psicologica al riguardo. Preparati, perché alcune di queste cose ti suoneranno terribilmente familiari.

Il Maledetto Refresh: Quando i Like Diventano una Droga

Hai appena pubblicato una foto. Bellissima, perfetta, con quella luce naturale che sembra finta ma giuri che non lo è. Passi cinque secondi e già stai ricaricando la pagina. Dieci secondi: altro refresh. Trenta secondi: perché solo tre like? Chi mi odia?

Se questa scena ti sembra imbarazzantemente familiare, sappi che non sei solo – ma potresti avere quello che i ricercatori chiamano comportamento di ricerca dei like, cioè la ricerca compulsiva di approvazione attraverso le reazioni sui social. Uno studio del 2022 condotto da Valkenburg e colleghi ha scoperto che le persone che monitorano ossessivamente le reazioni ai propri post mostrano livelli più alti di ansia sociale e un bisogno costante di rassicurazione.

Il meccanismo è diabolico: ogni notifica attiva nel cervello gli stessi circuiti della ricompensa che si accendono quando mangi cioccolata o vinci una scommessa. Gli psicologi chiamano questo fenomeno rinforzo intermittente – non sai mai quando arriverà il prossimo like, quindi continui a controllare. È lo stesso principio delle slot machine, ed è terribilmente efficace nel creare dipendenza.

Il problema vero? Quando i like diventano l’unica misura del tuo valore personale. Se un post va male, ti senti un fallimento. Se va bene, ti senti euforico per dieci minuti, poi hai già bisogno della prossima dose. È un tapis roulant emotivo che non porta da nessuna parte, se non a una dipendenza sempre più profonda dalla validazione esterna.

La Sindrome del Selfie Infinito

Postare un selfie ogni tanto è normalissimo. Postare cinquanta selfie alla settimana, tutti con la stessa angolazione, lo stesso filtro e la stessa espressione studiata davanti allo specchio? Ecco, lì la faccenda si complica.

La ricercatrice Agnieszka Błachnio, in uno studio del 2016, ha trovato una correlazione interessante tra la pubblicazione frequente e compulsiva di selfie e due elementi che sembrano contraddittori: tratti narcisistici da una parte, bassa autostima dall’altra. Come è possibile che coesistano?

Il trucco sta nel capire la funzione del selfie. Per chi ha poca autostima, ogni autoscatto diventa un tentativo disperato di controllo sulla propria immagine. Nella vita reale non ti senti abbastanza attraente, abbastanza interessante, abbastanza… tutto. Ma online puoi costruire una versione migliorata di te stesso: scegli l’angolazione giusta, applichi il filtro perfetto, ritocchi quel dettaglio che non ti piace. Ogni selfie è una piccola bugia che racconti a te stesso e agli altri.

Il paradosso? Più costruisci questa versione “perfetta” online, più la distanza tra quella e la persona che vedi allo specchio si allarga. E più si allarga questa distanza, più ti senti inadeguato. È un circolo vizioso che si autoalimenta, e i selfie compulsivi ne sono sia il sintomo che il combustibile.

Lo Scroll Senza Fine nel Tunnel della Tristezza

Non tutti i comportamenti problematici sono attivi. A volte il problema non è cosa pubblichi, ma quanto tempo passi a guardare cosa pubblicano gli altri. Ti è mai capitato di entrare su Instagram per “dare un’occhiata veloce” e ritrovarti un’ora dopo ancora lì, a scrollare in modalità zombie le vacanze perfette, i corpi perfetti, le relazioni perfette di gente che nemmeno conosci?

Gli psicologi hanno un nome per questo: scrolling passivo. E secondo una ricerca condotta da Cecilie Schou Andreassen nel 2014 sulla dipendenza da social media, questa abitudine è fortemente associata a sintomi depressivi e bassa autostima. Non è difficile capire perché.

Durante queste maratone di scroll, il tuo cervello viene bombardato da immagini di vite apparentemente straordinarie. Il problema? Il tuo cervello non è particolarmente bravo a ricordare che quelle sono versioni ultra-filtrate e super-editate della realtà. Inizia a credere che tutti, ma proprio tutti, stiano vivendo meglio di te. Hai presente quella sensazione di inadeguatezza che ti prende quando vedi la tua ex pubblicare foto delle Maldive mentre tu sei sul divano in pigiama a mangiare patatine? Ecco, quella.

Uno studio del 2020 pubblicato sul Journal of Social and Personal Relationships da Malik e colleghi ha confermato che le persone con bassa autostima tendono a usare i social in modo più problematico, cercando costantemente conferme esterne del proprio valore. Lo scrolling passivo diventa una forma di autolesionismo emotivo: continui a guardare vite migliori della tua, sapendo benissimo che ti farà stare peggio, ma non riesci a smettere.

Il Confronto Sociale: Il Veleno Quotidiano

Alla base di tutto questo c’è un meccanismo psicologico che esiste da sempre, ma che i social hanno portato a livelli stratosferici: il confronto sociale. Già negli anni Cinquanta, lo psicologo Leon Festinger aveva teorizzato che noi umani abbiamo una tendenza innata a valutare noi stessi paragonandoci agli altri. È un istinto di sopravvivenza sociale: ci aiuta a capire dove ci collochiamo nel gruppo.

Il problema sui social è che facciamo principalmente confronti “verso l’alto” – ci paragoniamo cioè a persone che percepiamo come migliori, più belle, più di successo, più felici di noi. E queste persone stanno mostrando solo gli highlight della loro esistenza, mai i momenti di merda che tutti abbiamo. Il risultato? Un’epidemia di inadeguatezza digitale.

Cosa fai se il post prende pochi like?
Cancello tutto subito
Lascio ma sto male
Fingo indifferenza
Non ci faccio caso davvero

La Cancellazione del Fallimento: Quando il Post Diventa Roulette Russa

Hai pubblicato qualcosa un’ora fa. Ha ricevuto dodici like. Dodici. Il tuo ultimo post ne aveva cinquantotto. Che fai? Ovvio: cancelli tutto e fingi che non sia mai successo. Se un post cade nel bosco di Instagram e nessuno lo vede, ha mai fatto davvero flop?

Cancellare contenuti che non hanno “performato” abbastanza è uno dei comportamenti più rivelatori di insicurezza digitale. Gli psicologi lo classificano come “safety behavior” – un comportamento protettivo messo in atto per evitare la percezione di fallimento o rifiuto sociale. La ricerca sull’uso problematico dei social media ha evidenziato che questo pattern è particolarmente comune nelle persone con quello che viene definito attaccamento ansioso.

La teoria dell’attaccamento ansioso, sviluppata originariamente da John Bowlby e Mary Ainsworth per spiegare le relazioni tra bambini e genitori, è stata estesa anche al mondo digitale. Le persone con questo stile di attaccamento hanno un bisogno intenso di rassicurazione e approvazione, e vivono nel terrore costante del rifiuto. I social media, con la loro promessa di connessione immediata e feedback costante, diventano lo strumento perfetto per cercare quella rassicurazione. Ma quando non arriva – sotto forma di like, commenti, condivisioni – scatta il panico.

Cancellare il post è come dire: “Se nessuno mi ha notato, faccio finta di non aver mai provato”. È una strategia di autodifesa che però, invece di proteggere l’autostima, la erode ulteriormente. Conferma infatti la convinzione di fondo: “Valgo solo se gli altri mi approvano. Se non lo fanno, meglio sparire”.

L’Editing Ossessivo: Photoshop dell’Anima

Hai presente quando passi mezz’ora a modificare una foto prima di pubblicarla? Cinque app diverse per il ritocco, quindici filtri provati, zoom su ogni millimetro di pelle per eliminare imperfezioni invisibili a occhio nudo? Ecco, quello è editing ossessivo, e secondo gli esperti è un campanello d’allarme sonoro.

Uno studio del 2015 condotto da McLean e colleghi ha trovato una correlazione significativa tra l’editing eccessivo delle foto e l’insoddisfazione per il proprio corpo, specialmente tra le adolescenti. Ma il meccanismo funziona per tutti: ogni ritocco è un piccolo messaggio che mandi a te stesso. Il messaggio? “Non sono abbastanza come sono”.

Ancora più preoccupante è uno studio condotto in Florida nel 2014, che ha mostrato come bastino solo venti minuti su Facebook per aumentare l’insoddisfazione verso il proprio aspetto fisico. È un effetto domino: vedi foto perfette, ti senti inadeguato, ritocchi le tue foto per competere, la distanza tra te reale e te digitale si allarga, ti senti ancora più inadeguato. E il ciclo ricomincia.

Ma È Sempre Colpa dei Social?

Fermiamoci un attimo prima di demonizzare Instagram e TikTok come i grandi cattivi della nostra generazione. C’è una precisazione fondamentale da fare, e arriva direttamente dalla ricerca scientifica: questi studi mostrano correlazioni, non causazioni dirette.

Cosa significa? Che spesso la bassa autostima preesiste all’uso problematico dei social media. Non è che Instagram ti rende insicuro dal nulla – piuttosto, se hai già fragilità nell’autostima, i social possono amplificarle e creare circoli viziosi difficili da spezzare. Come sottolineano diverse ricerche recenti, la relazione tra social media e salute mentale è complessa, e le cose funzionano spesso nella direzione opposta: i giovani con problemi di autostima preesistenti usano queste piattaforme in modo più intenso e problematico.

Inoltre, c’è un’enorme variabilità individuale. Non tutti reagiscono ai social nello stesso modo. Alcune persone li usano in modo sano e bilanciato, traendone anche benefici in termini di connessione sociale e supporto. Altre sviluppano pattern più problematici. Dipende dalla personalità, dal contesto, dal supporto che si ha offline, dalle esperienze pregresse. Il punto non è fare terrorismo psicologico o convincerti a cancellare tutti i tuoi account domani. Il punto è sviluppare consapevolezza.

Come Uscire dal Tunnel

Riconoscere questi pattern è già un primo passo importante. Il secondo è iniziare a costruire una relazione più sana sia con i social che con te stesso. La ricerca suggerisce alcune strategie concrete che possono aiutare.

  • Limita lo scroll passivo: se ti accorgi di passare ore a guardare le vite degli altri senza interagire, imposta dei limiti di tempo. Uno studio ha dimostrato che ridurre l’uso dei social media anche solo per una settimana può portare a diminuzioni significative di ansia, depressione e insonnia.
  • Pratica la consapevolezza prima di postare: fermati un attimo e chiediti onestamente perché vuoi condividere quel contenuto. Stai cercando validazione o stai semplicemente condividendo qualcosa che ti piace?
  • Diversifica le fonti della tua autostima: investi in attività offline che ti fanno sentire competente, soddisfatto, utile. Hobby, sport, volontariato, relazioni faccia a faccia. Costruisci un senso di valore che viene da dentro, non dai cuoricini digitali.
  • Cura il tuo feed: segui account che ti ispirano senza farti sentire inadeguato. Unfollowa senza pietà chi ti fa stare peggio dopo ogni post.

Alla fine della fiera, la questione non sono i social media in sé. Sono strumenti, né buoni né cattivi. Il problema è cosa riflettono di noi e del rapporto che abbiamo con noi stessi. I comportamenti che abbiamo descritto – il bisogno compulsivo di approvazione, il confronto costante, la costruzione di un’identità digitale perfetta ma falsa – sono tutti sintomi di una disconnessione più profonda. Una disconnessione tra chi sei veramente e chi pensi di dover essere per meritare amore, attenzione, rispetto.

La versione di te che esiste offline, con tutte le sue imperfezioni, le sue giornate storte, i suoi momenti di normalità, è infinitamente più preziosa di qualsiasi feed perfettamente curato. Quindi la prossima volta che ti ritrovi con il dito sul pulsante refresh, chiediti: sto davvero cercando like, o sto cercando la conferma che merito di esistere? E ricorda che la risposta a quella domanda non la troverai mai in un cuoricino digitale. La troverai solo guardandoti allo specchio – quello vero, non quello distorto dello smartphone – e decidendo che quella persona lì, esattamente così com’è, va già più che bene.

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